venerdì 14 dicembre 2007

CAUSE DEL BRIGANTAGGIO


Molte e complesse furono le cause del brigantaggio dopo
l'Unità d'Italia. Alla base di esso vi fu soprattutto la triste realtà economico-sociale dell'Italia meridionale e precisamente l'estrema secolare miseria della classe contadina. Nonostante le riforme varate da Giuseppe Bonaparte e da Gioacchino Murat all'inizio del secolo e dai Borboni successivamente, la struttura economico-sociale dell'Italia meridionale era rimasta quella feudale, anzi con il sorgere di un nuovo ceto borghese accanto al vecchio ordine feudale la condizione dei rurali era andata peggiorando. Non che le condizioni del regno fossero del tutto cattive, anzi vi era stato un continuo miglioramento, ma la naturale aridità del terreno, la mancanza di strade, di acque, di capitali ne ostacolavano i progressi. E soprattutto il fatto che la classe degli agricoltori non si avvantaggiava dei miglioramenti faceva sì che i contadini, ignoranti e poveri, giudicassero ogni cambiamento politico esclusivamente da miglioramenti immediati della loro sorte. Già in precedenza vi erano stati segni premonitori di una insopprimibile necessità di riforme economiche e sociali con devastazioni e invasioni di terre. Si ricordi, ad esempio, quel che era successo nell'Alta Valfortore dopo l'editto regio del 1792 relativo alla censuazione di parte del demanio, in Baselice nel 1793 col sindaco Giuseppe Aurelio de Marco e in S. Bartolomeo fino a tutto il 1800, nonché l'atteggiamento dei contadini al tempo del primo brigantaggio. Ora, dopo l'Unità, l'assorbimento dell'economia meridionale da parte del mercato ben più solido dell'Italia centro-settentrionale aggravò la situazione nel Mezzogiorno. Ad aumentare il disagio si aggiunsero delle leggi amministrative - come la leva obbligatoria - e fiscali intempestive. Di questo stato di disagio profittarono gli elementi filoborbonici per far comparire l'Unità d'Italia come la cagione di tutti i mali. Conseguenza prima fu che si determinò, soprattutto nei contadini di tradizionale fedeltà verso il re borbonico, uno stato d'animo di avversione al nuovo governo unitario, avversione acuita anche dai vecchi motivi di contrasto con i "signori" (per lo più liberaleggianti) sul problema della proprietà e dell'uso della terra. Già il 4 agosto del 1860 si erano verificati a Bronte, in provincia di Catania, dei moti contadini, subito repressi dalle forze garibaldine di Bixio e di Francesco Crispi con una serie di fucilazioni sommarie. La situazione peggiorò quando l'esercito garibaldino fu sciolto, mentre l'esercito italiano era insufficiente a fronteggiare le forze austriache sul Mincio, a debellare le superstiti truppe borboniche a Gaeta, a Messina e a Civitella del Tronto e a presidiare l'inquieta area del Mezzogiorno. Per cui la mancanza di forze repressive rese possibile la grande insurrezione contadina nella primavera e nell'estate del 1861. D'altra parte la semplice repressione senza provvedimenti sociali riparatori verso masse rurali che chiedevano pane e lavoro non risolveva il problema. Sarebbero occorse immediatamente vere riforme agrarie, opere di bonifica, migliorie, ma nulla fu fatto per debellare l'estrema disperata miseria dei contadini che era alla base del triste fenomeno. Ci si rese ben presto conto che i nuovi padroni non erano migliori dei precedenti. Donde il crescere del malcontento popolare, malcontento sfruttato abilmente contro il governo unitario. Quando poi ai contadini si unirono elementi del disciolto esercito borbonico, i disertori, i renitenti di leva, i malfattori di ogni specie, si ebbe il grande brigantaggio, un fenomeno organizzato e sistematico che alla protesta economico-sociale sovrappose un significato politico, tendente alla restaurazione della monarchia borbonica. Per sopprimere il brigantaggio il governo unitario deve ricorrere a vere operazioni di guerra. Furono impegnati ben 120000 soldati, la metà dell'esercito regolare! E nell'agosto del 1863 si deve far ricorso a una durissima legge eccezionale di polizia, la cosiddetta "legge Pica", con cui si cercò di colpire soprattutto i complici e i manutengoli. La legge fu resa necessaria dal fatto che la popolazione era rimasta per lo più inattiva o si era mostrata addirittura ben disposta nei confronti dei briganti, mentre nei paesi spesso i nobili legittimisti erano in aperta connivenza con essi e grande omertà regnava tra i possidenti per paura di ricatti (1).

1. Sul brigantaggio si veda G. MASSARI E S. CASTAGNOLA, Il brigantaggio nelle provincie napoletane. Relazione del deputato Massari letta alla Camera dei deputati nel Comitato segreto dei 3 e 4 maggio 1863. Napoli, 1863; F. MOLFESE, Storia del brigantaggio dopo l'Unita', Milano, 1964 (a p. 372 è menzionato Antonio Secola di Baselice); C. CESARI, Il brigantaggio e l'opera dell'esercito italiano dal 1860 all 870, Roma, 1920; A. PERRONE, Il brigantaggio e l'Unita d'Italia, Milano, 1963; A. DE IACO, Il brigantaggio meridionale, Roma, 1969. Sul brigantaggio in Valfortore si veda: A.S.N., Brigantaggio, fascio 4; L. SANGIUOLO, Il brigantaggio nella provincia di Benevento, 1860-1880, Benevento, 1975; G. MASCIOTTA, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, II, Napoli, 1915, pp. 284; A. ZAZO, Gli avvenimenti del giugno-settembre 1861 nel circondario di S. Bartolomeo in Galdo, in "Samnium", 1952, p. 1 ss.; Pel Barone Rosario Petruccelli, giudicato ed assolto dal Tribunale Militare di Caserta, di autore anonimo, Napoli, 1864; D. DE NONNO, Poche parole in difesa della Guardia Nazionale di Baselice, Napoli, 1864; A. FUSCHETTO, Fortore di ieri e di oggi, Marigliano, 1981, passim; M. DE AGOSTINI - G. VERGINEO, Il Sannio brigante nel dramma dell'Unita italiana, Benevento, 1991.
Fiorangelo Morrone

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